Rec. di U. Goldenbaum – A. Košenina (Hg.), Berliner Aufklärung. Kulturwissenschaftliche Studien, IV, Wehrhahn Verlag, Hannover 2011

Vivace casa editrice di Hannover, Wehrhahn festeggia il quindicesimo anno di attività dopo aver raccolto nel recente passato alcuni importanti riconoscimenti in ambito nazionale. Vanta un catalogo interessante, al cui interno – per tacere delle “Mendelssohn-Studien” e della “Berliner Klassik”, collana a cura della BBAW con all'attivo, tra le altre, due valide monografie su Jenisch e Engel – si fanno notare due serie di chiaro interesse per l’Aufklärungsforschung. La prima è significativamente intitolata “Aufklärung und Moderne” e ospita una trentina di titoli caratterizzati dal comune denominatore di un interesse interdisciplinare nei confronti della Wirkungsgeschichte illuministica, segnatamente verso l’incidenza che la riflessione settecentesca ha esercitato in chiave storico-culturale, filosofica e socio-politica nei due secoli successivi e che beninteso esercita anche oggi; la seconda è “Berliner Aufklärung”, la quale focalizza in particolare il milieu berlinese e brandeburghese nel XVIII secolo e per ora raccoglie una brillante monografia dedicata alla (nevralgica) figura di Friedrich Nicolai e i quattro volumi collettanei, tutti a cura di Ursula Goldenbaum e Alexander Košenina, delle “Kulturwissenschaftliche Studien”, inaugurate nel 1999. Quello di cui andiamo qui riferendo, pubblicato nel 2011, è l’ultimo dei quattro.
Ricco sotto il profilo delle sollecitazioni intellettuali e solido nei riscontri filologici, il volume ha una fisionomia organica e un profilo reticolare: esso cioè da un lato offre ricorrenti e perspicui riferimenti alle precedenti tre pubblicazioni della medesima serie, e in particolare al primo e più marcatamente “programmatico” tomo; dall’altro lato, lungi dall’essere una silloge di contributi perfettamente indipendenti o separati è questo un volume i cui singoli contributi, complessivamente otto, costituiscono altrettante, dialoganti tappe o stazioni di un itinerario unitario e piuttosto omogeneo. Non è presente sul piano strettamente editoriale una suddivisione in sezioni né una qualche forma di organizzazione tematica, è tuttavia possibile (e forse raccomandabile, almeno in sede di recensione) una “individuazione” degli interventi in nuclei distinti. A parere di chi scrive tali nuclei tematici sono sostanzialmente tre: al primo, comprendente materiali che pur prendendo le mosse dallo specifico contesto intellettuale berlinese e brandeburghese vantano un più ampio respiro storico-filosofico e implicazioni senz’altro “globali”, afferiscono fondamentalmente il testo di John Toland proposto in apertura, i successivi due contributi dei Curatori – U. Goldenbaum (Moses Mendelssohn in der frühen öffentlichen Debatte um Rousseau’s Abhandlung über die Entstehung der Ungleichheit) e A. Košenina (Der Journalist Lessing als Wegbereiter der Berliner Aufklärung) – e infine il settimo, e penultimo, intervento di I.-M. D’Aprile (Die letzen Aufklärer. Politischer Journalismus in Berlin um 1800); vi è poi un nucleo mediano di taglio “estetologico”, che fa perno su due interventi – di C. Zelle (Ästhetischer Enzylopädismus. Johann George Sulzers europäische Dimension) e G. Busch (Aus dem Schatten Mozarts auf die Berliner Opernbühne: Sophie Niklas) – all’interno dei quali è assieme attestato il respiro “globale” di cui dianzi si diceva quanto un interesse sempre kulturgeschichtlich e però più marcatamente localistico; per finire, due interventi che sposano bensì le prerogative teoretiche e il respiro ampio dei contributi riferiti al primo nucleo ma, nello spirito della Collana, focalizzano con maggiore e più sbilanciata insistenza il locale milieu storico-intellettuale: si tratta di U. Lohmann (David Friedländers Freundschaft mit dem Kreis der Berliner Mittwochsgesellschaft und seine Aufklärung über Juden) e di U. Thoms (Unter den Augen der Öffentlichkeit. Die Charité und die Berliner Spàtaufklarung).
È particolarmente significativo, è anzi quasi il “fulcro” del volume, il contributo di Alexander Košenina dedicato a Lessing e deputato a stimare la portata e l’incidenza, non solo filosofica ma anche politica e in senso ampio culturale, della sua «rivoluzionaria» attività di “giornalista critico”. Tesi dell’A. – che in tal senso evidentemente elabora alcune delle acquisizioni della più recente letteratura specialistica, ponendosi in linea di continuità con studiosi quali Hugh Barr Nisbet e Karl Guthke e, più recentemente, Walter Jens e Marcel Reich-Ranicki – è che, in grazia dell’influente, operosa e determinante attività espletata a partire dalla metà del Settecento per conto dei maggiori periodici berlinesi, si debba vedere nel grande filosofo tedesco sia un precursore (Wegbereiter) e “istigatore” (Impulsgeber) della Sonderfraktion dell’illuminismo berlinese che un modello intellettuale di riferimento per la futura generazione di Popularphilosophen e direttori di riviste operanti nella Metropoli prussiana, da Biester a Engel a Moritz a Nicolai, versati come lui in attività assieme saggistiche e giornalistiche e come lui dotati di interessi in ambito filosofico, belletristico e di Kulturkritik. Košenina opera in tal senso due interessanti torsioni ermeneutiche: la prima, sulla scorta del celebre giudizio formulato da Heinrich Heine nella sua penetrante panoramica Zur Religion und Philosophie in Deutschland, è quella di relegare in secondo piano la cifra di poeta, drammaturgo e Kunsttheoretiker di Lessing a vantaggio del “critico”; la seconda è di spostare l’obiettivo dai Literaturbriefe, attraverso i quali la svolta critico-letterararia si afferma definitivamente (e che sono stati fatti in modo costante oggetto di studio – l’argomento è piuttosto saturo in ambito germanistico – con specifico riguardo alla tecnica e alla retorica della polemica lessinghiana), alla sede in cui tale literaturkritische Revolution propriamente matura, vale a dire l’ambito di attività di recensore espletata negli anni antecedenti tanto per la “Berlinische Privilegierten Zeitung” (di Voss) e le “Berlinische Nachrichten von Staats- und gelehrten Sachen” (poi “Spenersche Zeitung”) quanto, più tardi, per le “Critische Nachrichten aus dem Reiche der Gelehrsamkeit” di Ramler e Sulzer (beninteso, periodico molto vicino al “Montagsklub”, del quale lo stesso Lessing fece parte) e per la “Bibliothek der schönen Wissenschaften und der freyen Künste”, edita a Lipsia da Mendelssohn e Nicolai.
Sebbene non funga da introduzione generale al volume, il contributo agisce come s’è detto da fulcro nella misura in cui intercetta e anticipa la maggior parte delle istanze che gli altri interventi si preoccupano di sviluppare in maniera particolareggiata. Si possono forse addurre due casi particolarmente esemplificativi, ai quali di fatto corrispondono altrettanti “vettori” o Leitmotive che attraversano complessivamente il volume e ne costituiscono in qualche misura lo scheletro. Anzitutto, la determinante attività del Lessing giornalista critico ha contribuito a formare e consolidare l’autentico «Geist des Berolinismus», accelerando inoltre il processo di “internazionalizzazione” di una grande capitale europea che, ancora agli inizi del Settecento, nonostante l’istituzione dell’Accademia delle Scienze presieduta da Leibniz, non aveva stabilito un vero punto di contatto e di “dialogo” con il dibattito intellettuale europeo; in seconda analisi, la dirompente attività critica di recensore del grande filosofo tedesco e la sua costante attenzione per le più attuali e scottanti pubblicazioni d’oltreconfine ha di fatto inaugurato la Rousseau-Rezeption in Germania.
Ebbene, il primo vettore è senz’altro corroborato, anche in termini di riscontro documentale, dal prezioso testo di Toland (An Account of the Courts of Prussia and Hannover: Sent to a Minister of State in Holland) che, pubblicato a Londra nel 1705 e tradotto in tedesco già l’anno successivo, viene qui riproposto in forma parziale; si tratta di una interessante testimonianza – è in particolare significativo il § 12 in cui vengono individuate le «tre circostanze» dell’attuale e ventura crescita culturale e socioeconomica della città di Berlino – da parte di uno dei grandi rappresentanti della cultura illuministica europea. Della stessa matrice il contributo di Lohmann che, prendendo le mosse dalla figura di David Friedländer e dai suoi rapporti con Mendelssohn e la “Berliner Mittwochsgesellschaft”, beninteso con i suoi esponenti più in vista nel contesto del dibattito filosofico (Biester e Gedike, Nicolai, Engel) come con gli uomini delle istituzioni e degli apparati di governo (Dohm, Wloemer, Klein), getta vieppiù luce tanto sulla personalità di Friedländer, e sull’Einflussbereich che questi era stato in grado di ritagliarsi nell’ambito della vita culturale berlinese, quanto sulla jüdische Aufklärung nel complesso. Parimenti quello di D’Aprile, che prolunga al primo decennio dell’Ottocento il raggio dell’analisi e attraverso il fecondo canale del “giornalismo politico” definitivamente tipizzato nella Spät-Aufklärung contribuisce a assieme a tratteggiare un puntuale schema degli equilibri tra stampa giornalistica e apparati istituzionali (per altro scardinando il cliché della carica pubblica quale via privilegiata per una carriera nello Stato prussiano) e a contestualizzare incisivamente l’opera di intellettuali – finiti ai margini della storiografia filosofica e dell’Aufklärungsforschung stessa, quali Woltmann e v. Held, Ascher e Merkel – che nel vivo della stagione cosiddetta idealistico-romantica possono di fatto essere additati come gli “ultimi illuministi”.
Il secondo vettore, identificabile con la penetrazione della filosofia di Rousseau in Germania e la sua prima ricezione critica, è parimenti trasversale. Attestato giocoforza nel saggio di C. Zelle su Sulzer, la cui Allgemeine Theorie (1756) fu espressamente e programmaticamente pensata in contrapposizione alle tesi digionesi del pensatore ginevrino, esso trova senz’altro il più forte riferimento nel contributo della Curatrice, U. Goldenbaum. Ispirato al ruolo avuto da Mendelssohn nel primo dibattito pubblico sul Discours sur l’origine de l’inégalité – presentato da Rousseau nel 1754 a Digione in occasione di un concorso bandito dalla locale Accademia, pubblicato a Amsterdam nel giugno dell’anno successivo e recensito da Lessing appena un mese dopo – il saggio contribuisce a chiarire alcuni aspetti poco chiari e in certa misura reagisce a interrogativi che pure è lecito sollevare: perché la reazione all’opera russoviana fu immediata e tempestiva nella “provinciale” Berlino, prima che nei grandi capoluoghi tedeschi della pubblicistica filosofica (Amburgo, Lipsia, Gottinga)? Perché, inoltre, nella Hauptstadt prussiana le provocatorie tesi del pensatore ginevrino esercitarono e produssero una trasversale fascinazione, mentre nel resto della Germania e nella stessa Francia erano state dibattute e severamente contesate? Un ulteriore dato di precipuo interesse è poi legato al fatto che un intellettuale ebreo, Mendelssohn, si fosse incaricato non solo della traduzione del Discorso ma anche della redazione di un commento critico. Proprio quest’ultimo è l’aspetto che la Goldenbaum eviscera nel modo più puntuale e documentato, muovendo dalla “protostoria” della ricezione russoviana in Germania e giungendo alla ricezione critica dell’influente (e perdurevole) “edizione mendelssohniana”. Nel mezzo il decisivo capitolo sulla “assimilazione” della pagina russoviana da parte di Mendelssohn – segnalo a titolo di esempio la coniugazione che il filosofo di Desssau produce tra il Perfektibilitätsbegriff e il tema della Bestimmung umana – di evidente e risolutiva importanza nell’intelligenza critica del Denkweg mendelssohniano, certo, ma anche della costelazione concettuale e dell’universo di senso della Berliner Aufklärung.
Pubblicato in "Filosofia e Teologia" 3/2012.
Parole chiave: Goldenbaum - Kosenina - Berliner Aufklärung - Haskalah - Lessing - Mendelssohn - Illuminismo - Enlightenment