Tra vincolo epistemico e realtà pratico-dogmatica. Note sulla Freiheitslehre trascendentale

breve estratto
1. L’interrogazione sulla questione della libertà occupa uno dei principali e più controversi capitoli della filosofia kantiana. Con la dottrina dell’idealità di spazio e tempo, essa costituisce infatti un tratto peculiare della complessiva impresa critica e ne rivela più di un aspetto di irrisolta aporeticità. L’argomento è spinoso. È forse sufficiente ricordare che in un saggio di venti anni fa Lewis White Beck rintracciava ben cinque diversi significati della nozione di libertà in Kant, segnalando in questo modo la complessità di un concetto dallo spettro semantico particolarmente dilatato. Più tardi Henry Allison non ha mancato di mostrare la possibilità di un sensibile fine-tuning dell’analisi di Beck, e quindi di un ulteriore ampliamento di tale spettro. I significati che compongono la gamma semantica del concetto sono pertanto molteplici.
Allison ha ricostruito l’itinerario speculativo che, di fronte alla Freiheitsfrage, Kant compie a partire dalla KrV – e, per la precisione, a partire dalle dense pagine della Dialettica dedicate alla antinomia nella quale la ragione speculativa incorre quando si occupa di concepire l’incondizionato nella serie delle relazioni causali, e del Canone . È questo un percorso in tre tappe che, come è noto, porterà Kant in primo luogo a riconoscere la mera concepibilità dell’idea trascendentale di libertà (problematica nella misura in cui, rispetto alla “causalità secondo natura”, essa «wenigstens nicht widerstreite»); e in seconda istanza, nella prospettiva della KpV, a verificarne la realtà sul piano pratico. La realtà della libertà, si legge infatti nella KpV, è «dimostrata mediante una legge apodittica della ragion pratica» e proprio in virtù di ciò, il concetto di libertà si configura come l’autentica «chiave di volta dell’intero edificio di un sistema della ragion pura, anche della speculativa». «Se non vi fosse libertà – scrive Kant – la legge morale non si potrebbe assolutamente trovare in noi». Ma è quest’ultimo un nodo nevralgico, già presente nelle pagine della GMS  e assai dibattuto dalla cospicua letteratura critica, sul quale torneremo nel seguito. Naturalmente, nella ricostruzione di Allison la terza e ultima tappa di questo itinerario corrisponde alla KU . Attraverso il concetto trascendentale di Zweckmässigkeit, infatti, nello scritto del 1790 Kant proverà a saldare la frattura tra natura e libertà che è andata affermandosi nella sua teoresi, caratterizzandola in modo così imponente. Quello «hiatus irrationalis» che, sia nella KrV – e segnatamente nella Auflösung della “terza antinomia” delle idee cosmologiche, e nel Canone – che nei successivi scritti di filosofia morale, verrà tematizzato in modo pressoché costante, e sempre a partire dal dato per cui «non si può pensare se non una doppia specie di causalità rispetto a ciò che avviene, o secondo la natura o per libertà».
2. Ma Kant ha inteso regolare i conti con le aporie derivanti dalla soluzione della terza antinomia e dalla divaricazione tra il carattere empirico e quello intelligibile del soggetto, già prima di tentare nelle pagine della KU di «gettare un ponte tra libertà e natura, mediante l’assegnazione a quest’ultima di una struttura finalistica analoga a quella della ragion pura pratica». Epperò mai riuscendoci in modo soddisfacente. Com’è noto, a una celebre pagina della GMS egli affiderà la constatazione secondo cui è un «compito irrinunciabile della filosofia mostrare almeno che il proprio inganno, causato dalla contraddizione [tra libertà e necessità naturale], riposi sul fatto che noi pensiamo l’uomo in un altro senso e in un altro rapporto quando lo diciamo libero rispetto a quando lo consideriamo, come elemento della natura, sottoposto alle sue leggi». Ciò perché, come si leggeva pure nel Canone della KrV, «se anche la volontà può esser libera, questo non riguarda se non la causa intelligibile del nostro volere. Perché, quanto ai fenomeni delle sue manifestazioni, cioè alle azioni, noi dobbiamo […] spiegarle non altrimenti che tutti gli altri fenomeni della natura, ossia secondo le leggi immutabili di questa».
E tuttavia le due dimensioni impegnate dal discorso, come riconosciuto dallo stesso Kant nelle pagine della GMS deputate a focalizzare e tematizzare il “confine estremo di ogni filosofia pratica”, «devono anche esser pensate come necessariamente riunite nello stesso soggetto». La dialettica della ragione tra la libertà del volere e la necessità naturale deve quindi attendere al presupposto secondo cui tra esse «non si trovi alcuna vera contraddizione, poiché [la ragione] non può rinunciare né al concetto della natura né a quello della libertà». «La volontà è – infatti – una specie di causalità degli esseri viventi in quanto siano razionali, e libertà sarebbe la proprietà di tale causalità per cui essa può essere efficiente indipendentemente da cause esterne che la determinino».
Breve estratto (senza note) di H. Spano, Tra vincolo epistemico e realtà pratico-dogmatica. Note sulla Freiheitslehre trascendentale, in La libertà in discussione, a c. di S. Sorrentino, Aracne, Roma 2007, pp. 21-48.