Rec. di Malte Dominik Krüger, Göttliche Freiheit. Die Trinitätslehre in Schellings Spätphilosophie, Mohr Siebeck, Tübingen 2008

Göttliche Freiheit si impone all’attenzione del lettore come una indagine di particolare pregio e rigore scientifico intorno all’ultimo Schelling. Lo studio verte in particolare sulla sua Trinitätslehre, della quale vengono analizzate sia «le premesse» all’interno della “filosofia negativa” che la realizzazione nel quadro della cosiddetta filosofia positiva. È questo l’oggetto, rispettivamente, della seconda e terza parte del libro. La prima, Prolegomena, ne espone invece nel metodo e nel merito le prerogative, chiarendo in linea generale la tesi che l’Autore si propone di svolgere e affermare. Nella quarta e ultima, Epilegomena, si ricaveranno alcune conclusioni più specifiche con particolare riguardo agli «apporti esegetici».
Krüger prende le mosse dalla constatazione per cui alla base dell’ultima concezione sistematica schellinghiana vi sia un «poderoso disegno complessivo» di carattere filosofico-teologico. Egli ritiene in tal senso che una «visione organica» delle due parti – negativa e positiva – nelle quali la Spätphilosophie di Schelling è notoriamente articolata, visione che beninteso s’intende fornire «combinando» in un quadro d’insieme l’interpretazione della Urfassung der Philosophie der Offenbarung con quella degli ultimi abbozzi di filosofia negativa della Darstellung der reinrationalen Philosophie, possa contribuire a documentare la tesi secondo cui la riflessione tardoschellinghiana delinei «una teoria trinitaria dell’Assoluto» ancorata teoreticamente a quell’esperienza della libertà in cui Dio si rivela all’uomo (e la cui coscienza costituisce il proprium della religione). Una teoria in grado di coniugare in maniera feconda tradizione teologica e istanze filosofiche e di rivelarsi conseguentemente piuttosto gravida di effetti sia sotto il profilo teologico, dove la riflessione del tardo Schelling delinea una Trinitätslehre in senso classico, che filosofico, dove si configura come una sorta di «realismo interno». È questa propriamente la «tesi materiale» del lavoro di Krüger.
Documentarla è tuttavia un compito non agevole. Esso si scontra infatti con le difficoltà di carattere ermeneutico e filologico legate tanto alla disponibilità relativamente recente (e alla assimilazione critica non del tutto risolta) della Urfassung, documento determinante per l’intelligenza della “filosofia positiva” del quale qui allungando il «passo in un territorio vergine (Neuland)» viene per la prima volta offerta una particolareggiata esposizione, quanto alle interpretazioni fortemente contrastanti che hanno attraversato e vivacizzato la Schelling-Forschung. Di queste ultime costituisce senz’altro un limpido esempio la «controversia classica» tra Horst Fuhrmans e Walter Schultz verificatasi attorno alla metà del secolo scorso, alla quale pure è dedicato ampio risalto. Essa ha esercitato (e seguita a esercitare, invero) una vasta incidenza sugli sviluppi del dibattito sullo Spätwerk schellinghiano. All’interno di tale dibattito l’Autore, che qui non manca di tratteggiare una scrupolosa panoramica della letteratura critica cercando un continuo confronto con le letture «considerate classiche», ha buon gioco di individuare e circoscrivere in maniera meticolosa sei specifici filoni interpretativi – religioso-teistico, idealistico, marxista, esistenzialista, storico-evolutivo, kantiano – misurandosi così con influenti commentatori della pagina schellinghiana, quali per es. W. Kasper, K. Hemmerle, J. Habermas, P. Tillich, X. Tilliette e W.E. Ehrhardt.
Una «sostanziale continuità» caratterizza la tarda filosofia schellinghiana. A voler indicare, in modo necessariamente sintetico, un dato nevralgico dell’analisi di Krüger si può senz’altro focalizzare la critica che egli rivolge a quella specifica e trasversale impostazione ermeneutica la quale, ravvisando viceversa una certa “discontinuità”, senza alcun «plausibile fondamento» ha piuttosto alimentato che governato la «divaricazione» tra la Darstellung e la Urfassung. Nelle due parti centrali del volume, la seconda e la terza, non senza attingere alla complessiva produzione matura del filosofo di Leonberg, l’Autore si propone pertanto di emendare talune letture della Trinitätslehre nella filosofia dell’ultimo Schelling prodotte nell’arco di un trentennio – da H. Holz (Spekulation und Faktizität, 1970) a P. Trawny (Die Zeit der Dreienigkeit, 2002), per intenderci – e di articolare di contro uno studio sistematico capace di ricostruire, componendolo «per gradi», lo sviluppo del Denkweg schellinghiano nella sua fase matura; di apprezzarlo così, rimossa una patina storiografica, sulla base della sua «interna consistenza» e nel più rigoroso rispetto del principio di “equità ermeneutica” (hermeneutische Billigkeit); e di contribuire infine, assecondando un desideratum della ricerca, a restituire alla Trinitätslehre tardoschellinghiana la sua autentica cifra tanto nel quadro della Schellingrezeption quanto, philosophiegeschichtlich, nel più ampio e generale contesto dell’idealismo tedesco, al quale invece è a ragione riconosciuto un preminente peso specifico nella contemporanea fioritura del dibattito trinitario.
Pubblicato in "Filosofia e Teologia" 3/2010.