Nella ricorrenza dei centocinquant'anni dalla morte di Antonio Rosmini (1797-1855), tra il 27 aprile e il 1° maggio del 2005 si è tenuto presso il Centro italo-tedesco Villa Vigoni, sul Lago di Como, un prestigioso Convegno internazionale. All’appuntamento, intitolato “Rosmini e la filosofia tedesca”, hanno preso parte numerosi studiosi di varia provenienza. Interpreti di Rosmini e specialisti della filosofia kantiana, e più in generale dell’Idealismo tedesco, si sono misurati con una questione che, all’interno del più ampio e ancora del tutto irrisolto dibattito intorno alla «classificazione filosofico-sistematica» del pensiero rosminiano, pare aver conquistato un rimarchevole peso specifico: quale tratto caratterizza la ricezione e la critica rosminiana della filosofia classica tedesca? Cosa cioè distingue il sacerdote roveretano dagli altri grandi interpreti di Kant e dell’idealismo tedesco?
Markus Krienke, organizzatore del Convegno nonché curatore del presente volume, che ne raccoglie i materiali, nelle pagine prefatorie e nell’ampio e puntuale saggio introduttivo non manca di focalizzare in maniera penetrante questi interrogativi, di contestualizzarli sotto il profilo teoretico e storiografico e, non da ultimo, di rilevarne la portata. La questione “Rosmini e la filosofia tedesca”, lungi infatti dall’assecondare un ozioso capriccio intellettuale, può rappresentare una sfida di capitale importanza nel dibattito filosofico contemporaneo; non solo, il confronto sintetizzato dal titolo del Convegno informa un «dialogo culturale» parecchio fecondo tra esperti del contesto filosofico-teologico italiano della prima metà del diciannovesimo secolo e specialisti della cultura filosofica tedesca di quell’epoca. È prendendo le mosse dalla testimonianza di un grande intellettuale italiano dell’Ottocento, Bertrando Spaventa, la testimonianza – poi amplificata da Giovanni Gentile – secondo cui Rosmini sia stato il primo, vero «recettore» della filosofia idealistica tedesca in Italia, e in particolare di quella kantiana, che Krienke ha buon gioco di perimetrare lo status quaestionis. Egli evidenzia infatti come questa autorevole attestazione, che implicitamente fa dell’intellettuale trentino anche uno dei più significativi interpreti (di quel tempo) della filosofia idealistica fuori dalla Germania, non possa mancare di sorprendere la maggior parte degli studiosi tedeschi, convinti che il nome di Rosmini sia invece prevalentemente legato alla storia ecclestiastica dell’Ottocento e che egli sia, al più, un precursore della filosofia neotomista. D’altra parte, la tendenza “neoidealistica” a interpretare Rosmini come il “Kant italiano” o lo “Hegel italiano” se da un lato ha senz’altro garantito al pensiero rosminiano una più o meno vasta e costante considerazione, dall’altro ne ha inesorabilmente indirizzato la Wirkungsgeschichte. La fine dell’interesse verso il Neoidealismo ha infatti accompagnato e “giustificato” l’esaurirsi dell’interesse per lo stesso Rosmini; di più, poiché attraverso la «lente neoidealistica» il pensiero rosminiano non era stato focalizzato nel suo Spezifikum filosofico, con l’accantonamento di questo paradigma interpretativo sono venute persino meno le ragioni per le quali la sua riflessione potesse ancora rivendicare un autonomo spazio e un specifico ruolo nel complessivo panorama filosofico.
È questo il grosso «limite filosofico» che ha segnato l’intelligenza dell’autentica Denkform rosminiana. Ma non è il solo. Oltre a questo, un altro e ben più oneroso «limite esteriore» ha rappresentato un cospicuo impedimento in tal senso: il pregiudizio teologico. È noto infatti che attorno dalla fine del 1887 attraverso il decreto “Post Obitum” promulgato dal Sant’Uffizio furono formalmente condannate 40 proposizoni della filosofia rosminiana «quae catholicæ veritati haud consonæ videbantur». Condanna che ha pesato come una seria ipoteca per oltre un secolo, fino cioè alla sostanziale riabilitazione che la Santa Sede ha perfezionato con una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del luglio 2001, e che rappresenta anche uno dei «meriti permanenti» della Rosminiforschung della seconda metà del Novecento. Se il superamento di questi «limiti esteriori» di carattere filosofico e teologico è stato il compito preliminare della ricerca rosminiana, la finalità per così dire della «prima Rosminiforschung», è chiaro, e Krienke non manca di insistere su questo punto, che nell’attuale prospettiva storica e intellettuale – nella quale beninteso si collocano tanto l’appuntamento di Loveno di Menaggio quanto il volume che ne è il prodotto – viene finalmente offerta la possibilità di un esame libero, puntuale e filologicamente avvertito della pagina rosminiana. E nella cornice del «dialogo culturale» di cui pure sopra si riferiva e al quale il confronto su “Rosmini e la filosofia tedesca” ha senz’altro fornito un robusto impulso, il sacerdote roveretano – per la fruttuosa commistione di tradizione e modernità, di pensiero scolastico e istanze sollevate dal dibattito filosofico, di cui il suo pensiero è acuta e preziosa testimonianza – può senz’altro riqualificarsi come figura di primo piano. Una Dialogfigur, un «ۛcostruttore di ponti» di levatura europea in grado di prospettare, in una congiuntura storica e culturale complessa qual è quella attuale, nuove risposte a problemi filosofico-teologici ancora aperti.
A ben vedere l’attuale congiuntura storica e culturale corrisponde nello specifico, dal punto di vista cioè della ricezione della filosofia rosminiana, a una nuova e cruciale «fase di passaggio». Inaugurata dal decreto ufficiale di riabilitazione del luglio 2001, essa sembra infatti dischiudere «nuove prospettive» sia sul piano della complessiva rivalutazione della riflessione rosminiana, potenziata come si è detto dal superamento dei «classici ostacoli», sia su quello, che pure ha raccolto una costante attenzione nell’ambito della letteratura critica e che è specificamente trattato nel presente volume, della relazione tra Rosmini e la cultura filosofica tedesca. Prendendo le mosse dalla constatazione secondo cui nella determinazione del rapporto tra la complessiva opera filosofico-teologica rosminiana e il trascendentalismo kantiano, e più in generale l’idealismo tedesco, il significato della prima è ancora del tutto da scoprire, nel suo ampio e rigoroso saggio introduttivo Krienke contestualizza la situazione attuale e tratteggia wirkungsgeschichtlich le tre «fasi» che la precedono e di fatto consegnano l’attuale stato della ricerca: il confronto intorno al pensiero rosminiano ancora vivente Rosmini; la ricezione dalla sua morte fino alla metà del Novecento: Rosmini «come Pseudo-Kant o Pseudo-Hegel»; e finalmente, la Rezeptionsgeschichte nell’arco di tempo che dalla seconda metà dello scorso secolo giunge ai giorni nostri. Giorni nei quali, come si ricordava dianzi, si inaugura una fase del tutto nuova e senz’altro gravida di attese.
Dal punto di vista specificamente metodologico il volume restituisce in modo fedele lo schema in «tre tappe» che ha scandito i lavori del Convegno. Si tratta beninteso di tre dimensioni che, perfettamente coordinate in un disegno organico, non si lasciano agevolmente disgiungere. Anzitutto, in termini perlustrativi per così dire, è condotta una analisi degli scritti rosminiani capace di apprestare una sorta di «inventario» della presenza di Kant e dei filosofi idealisti nell’opera del Roveretano. E se a tal riguardo il contributo di Fulvio De Giorgi si segnala per il tentativo di individuare gli «elementi fondamentali» che Rosmini deriva più in generale dall’ambito culturale di lingua tedesca e che si imprimono in maniera perdurevole nella fase iniziale della sua riflessione, l’intervento di Carlo Maria Fenu si propone più dappresso di ricostruire il confronto tra il Nostro e la filosofia kantiana e idealistica (Fichte e Schelling, Hegel) nell’arco del suo intero Denkweg filosofico, dalle Jugendschriften fino alla Teosofia pubblicata postuma. Teosofia che, con il Saggio storico critico sulle categorie, è anche al centro del contributo di Pier Paolo Ottonello, laddove invece Franco Percivale indicizza il tema “Rosmini e la filosofia tedesca” a quell’Epistolario completo pubblicato a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento che, per quanto non offra inediti apporti sostanziali sul piano teoretico, conferma l’interessamento costante e effettivo del Roveretano per il contesto intellettuale di lingua tedesca e più in generale la cultura d’oltralpe. E se, da ultimo, il contributo di Maria Luisa Facco configura una ampia digressione sulla questione “Leibniz nel pensiero rosminiano”, ponendo l’accento sulla solida presenza leibniziana sin dagli scritti giovanili di Rosmini, e in quel Nuovo saggio sull’origine delle idee ove il filosofo e matematico di Lipsia occupa un funzione preminente nella pur affollata ridda di voci (Kant, Fichte, Schelling, Hegel) con cui il sacerdote trentino si misura, gli interventi di Gaetano Messina e Umberto Muratore ristabiliscono il focus kantiano dell’indagine sviluppando due temi di chiara pregnanza teoretica: la definizione di giudizi analitici e sintetici nel confronto tra KrV e Nuovo saggio, l’uno, e l’altro, i termini dell’influenza kantiana sulla filosofia morale rosminiana, nonché i motivi di sostanziale divergenza quali si radicano tanto sul campo della filosofia pratica quanto nell’intelligenza del religioso che quella informa.
La seconda sezione di contributi è conseguentemente dedicata a una più particolareggiata discussione critica dell’iniziale inventario – dal punto di vista della filosofia classica tedesca, questa volta, e dello stesso Kant. Sono essenzialmente tre le proposte che si richiamano al confronto con il filosofo d Königsberg. In quello di Giovanni B. Sala è in tema la teoria rosminiana della conoscenza, la teoria dell’origine delle idee, vale a dire la gnoseologia che, mosso com’è noto dalla necessità di emendare la Logica trascendentale della KrV, egli sviluppa con una “virata ontologica” nella prima parte del diciannovesimo secolo, già a partire dal Nuovo saggio, nel tentativo di concepire una funzione ordinatrice dell’esperienza e di garantire oggettività alla conoscenza. Beninteso, collocandosi in uno Spannungsfeld tra sensismo (Locke, Condillac) e idealismo trascendentale (Kant), ma assecondando in pari tempo quelle suggestioni «cristiane» che convergeranno nel neotomismo (assai interessante al riguardo il saggio di Luciano Malusa). Nei contributi di Friedo Ricken e Juan Francisco Franck l’interesse verte invece sulla morale della ragion pura e sul modo in cui Rosmini si misura con quelle nozioni di libertà, autonomia, eteronomia che pure costituiscono le coordinate fondamentali del discorso kantiano. L’intervento di Franck, in particolare, prosegue in certo senso l’argomentazione avviata da Sala – allorché riconosce come l’idea dell’essere di cui Rosmini scrive non sia soltanto norma e regola di ogni giudizio ma contenga altresì in sé la somma regola della moralità – focalizzando tra l’altro l’attenzione sulla differente nozione di «soggetto» che si afferma sullo sfondo delle due prospettive speculative. Ricken attesta di fatto l’aderenza delle obiezioni rosminiane rivolte a Kant (il circolo vizioso nella deduzione della legge morale; il carattere aporetico della Freiheitslehre trascendentale e il dualismo tra homo phenomenon e noumenon; ecc.) a una vasta tradizione critica che, a partire dagli ultimi anni del Settecento (con Herder, Schleiermacher e non solo), ha fatto i conti con la riflessione kantiana e la sua eredità.
Da ultimo, è apprezzabile il tentativo di ampliare il quadro di riferimento teoretico e storiografico determinando il possibile significato dell’opera rosminiana per il posteriore dibattito filosofico e segnatamente per la filosofia posthegeliana. Se nella seconda sezione non mancano infatti contributi volti a determinare il confronto tra Rosmini e Fichte (Schöndorf), Schelling (Jacobs) e Hegel (Spiri), nella terza e ultima – oltre ai contributi di analogo genere parimenti indirizzati a contestualizzare un confronto plurale di Rosmini con la filosofia hegeliana (Rohls, De Lucia, Müller, Nocerino, Schulz) – si segnalano quegli approfondimenti per così dire monografici, in tema di filosofia del diritto (Muscolino) e di carattere teologico (Lorizio, Traniello), in grado di declinare la lezione rosminiana e inquadrare specifici plessi tematici.
Pubblicato in "Studi Kantiani" (2010).